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la fanciulla senza mani

cantata a maggio

 

 

 

 


È una rappresentazione drammatica   interamente cantata “a maggio”, secondo una antica usanza popolare toscana ancora florida a Buti (Pisa) e in alcune comunità della Garfagnana.

      L’aria qui ripresa è appunto quella butese, mentre il testo, per quanto ispirato al “maggio” della Regina Uliva, la cui ultima stesura risale al 1877, è nuovo e si discosta dalla tradizione preferendo attenersi ad una novellistica forse di meno nobili origini ma attualmente più conosciuta (Nerucci, Sessanta novelle popolari montatesi, nonché Le Fiabe del focolare dei fratelli Grimm).

      Il “maggio” della Regina Uliva non è stato più ripreso da molto tempo (il più vecchio maggiante di Buti se lo ricorda rappresentato nel 1932 e ’33), comunque non è da molto tempo tra i più frequentati, anche se è uno dei più significativi della tradizione, in quanto le sue popolari quartine derivano dalle ottave di un antico cantare toscano, esemplarmente ricordato nelle storie istituzionali della letteratura italiana, e di tale importanza da meritare l’attenzione dell’illustre D’Ancona che alla fine dell’Ottocento curò l’edizione del manoscritto, a tutt’oggi l’unica esistente.

      La particolarità di questo “maggio” sta, in coincidenza col fatto che nasce fuori del “paese” e della sua cultura, nel suo radicarsi nella coscienza contemporanea della tradizione, nel recupero critico dell’archetipo e dell’apertura con ciò al senso universalistico della tradizione locale.

      Allo stesso tempo, essendo nato come improvvisazione diretta sul canto di Angela Batoni (che perciò in parte ha anche collaborato al testo), conserva e anzi riprende tutti gli anacoluti e gli arcaismi del cantare “a braccio”.

      Così la coscienza critica contemporanea penetra dentro la tradizione col linguaggio stesso della tradizione.

      La messa in scena è essenziale, anti-teatrale nel senso che punta sull’espressività genuina, non acculturata, delle giovani cantanti-attrici del suo Laboratorio.

      Ma proprio questo ha permesso che scoprissero le ambiguità del senso scenico, l’intreccio fra gioco, finzione e verità.